“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Omicidio Jason: la madre propone appello contro la sentenza
Katia Reginella ha proposto appello contro la condanna alla pena di 25 anni di reclusione emessa dalla Corte d’Assise di Macerata il 18 giugno 2014
OMICIDIO JASON, KATIA REGINELLA PROPONE APPELLO. Katia Reginella, madre di Jason Pruscino, ha proposto appello contro la sentenza di condanna alla pena di 25 anni di reclusione emessa dalla Corte d’Assise di Macerata il 18 giugno 2014 e depositata il 24 novembre 2014. Il difensore della donna, avv. Vincenzo Di Nanna, ha dichiarato: "Non può esservi pena più severa di quella che le è stata inflitta dalla barbara uccisione del suo figlioletto. Esiste una verità alternativa e di certo più credibile e persino moralmente più comprensibile e accettabile, rispetto a quella proposta dai Pubblici Ministeri e acriticamente recepita dalla Corte d’Assise, il cui accertamento potrà avvenire solo attraverso il doveroso superamento di suggestioni, emotività e moralismo".
IL CONTESTO FAMILIARE. Per Di Nanna, la ricostruzione dei fatti recepita nella "contraddittoria motivazione della sentenza" appare "del tutto astratta dall’anomalo e singolare contesto familiare in cui si sono svolti, benché la stessa Corte d’Assise lo definisca come caratterizzato da reiterata violenza e maltrattamenti, quando, proprio nel descritto ambiente, quanto mai desolante, doloroso e distruttivo, sempre dominato dalla violenza, avrebbe dovuto esser adeguatamente valutata la posizione dell’imputata, affetta da gravi patologie e da un significativo ritardo mentale congenito. L’omicidio del piccolo Jason, in effetti, ben può considerarsi solo uno (il più grave) degli episodi dei maltrattamenti consumati dal Pruscino in danno della moglie e dei figli, delitto accertato dalla Corte d'Assise, ma non contestato dalla Procura. La figura mostruosa della “mamma assassina”, sapientemente costruita dai Pubblici Ministeri e propagandata da una martellante campagna mediatica, è allora il frutto di un evidente e grave travisamento dei fatti realizzato tramite la “rimozione”, da un punto di vista processuale, del delitto di maltrattamenti in famiglia, attuata tramite una precisa scelta dei Pubblici Ministeri che, pur riaperte le indagini relative alle lesioni inferte ai precedenti figli della coppia, non hanno poi ritenuto di dover procedere a una trattazione congiunta dei procedimenti e, non si comprende per quale ragione, non hanno (ancora) contestato al Pruscino la "violenza sessuale di gruppo", consumata in danno della moglie, delitto la cui prova è stata offerta dai tre principali “testimoni” dell’accusa".
"UNA METAMORFOSI PROCESSUALE". Secondo l'avvocato Di Nanna, è stata così realizzata "una vera e propria metamorfosi processuale al punto da trasformare, una povera giovane, affetta da ritardo mentale congenito, vittima di gravi violenze e traumi subiti sin dall’infanzia, nella “scellerata assassina” del proprio figlioletto. La verità "rimossa" e in ogni caso non adeguatamente valutata, emerge, tuttavia, in maniera prepotente, persino dalla lettura dell’illogica e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata (pag. 70, 46 e 47 sent.) che ha accertato: la Reginella, priva di ogni sostegno da parte dei familiari (madre, padre, fratelli), iniziava la vita di convivente more uxorio del Pruscino, subendo condotte violente e maltrattamenti del compagno, oltre all’allontanamento dei due precedenti figli avuti dallo stesso, conseguiti al riscontro di traumi e lesioni sui bambini da parte di servizi sociali. I maltrattamenti familiari subiti dalla Reginella ad opera del Pruscino sono riferiti dalla Reginella negli interrogatori……, sono rievocati nelle conversazioni della stessa con la madre in carcere, sono stati riferiti dal teste Troka e ammessi dal Pruscino nell’interrogatorio del 16.8.2011, oltreché nelle lettere intercettate in carcere prodotte dal pm".
IGNORATE LE CONDIZIONI DI INFERMITA' MENTALE. Ma la "metamorfosi" sembra essersi spinta, per il legale, sino al punto "di aver ignorato, per i lunghi anni di durata del processo, le pur gravi ed evidenti condizioni d’infermità mentale dell’imputata e così trasformato il giudizio in un orribile e grottesco esperimento avente per oggetto una povera cavia umana, come purtroppo dimostra il ricorso, da parte dei Pubblici Ministeri, a non corrette e suggestive “pratiche” di conduzione dell’interrogatorio–tortura (21 novembre 2011), al punto da aver determinato il travisamento della verità e l’alterazione - sia pure involontaria – della genuinità delle prove acquisite".
LA RISPOSTA DEL TESTIMONE. Significativa, sostiene Di Manna, è la risposta resa dal testimone, sentito nel corso nel corso dell’indagine archiviata: "Domanda: Ha notato se la Reginella volesse velocizzare le procedure di medicazione del figlio? Risposta: No. Non direi. Mi è sembrato più che altro che la donna non fosse pienamente cosciente della gravità dell’evento. Si propone dunque l’acquisizione di tale prova "nuova" nel giudizio d’appello. Allora forse potrà esser compresa la tragedia di una madre che, solo a causa di limiti acquisiti sin dalla nascita, non è riuscita a salvare il figlioletto, ammesso fosse possibile. E allora si comprenderà che non può esservi per costei pena più severa di quella che le è stata inflitta dalla barbara uccisione del suo piccolo Jason".
Giulio Bertocciani