“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Un sogno così (svanisce)
Il ritorno del nostro affezionatissimo Amateur nel "solito" viaggio onirico, erotico, già dannatamente reale
UN SOGNO COSI' (SVANISCE). Penso che un sogno così non ritorni mai più, lo pensavo un anno fa mentre lo vivevo e ne sono convinto ora, mentre svanisce sotto i miei occhi, nell’autunno del rivestimento, quando le coulotte scompaiono per lasciare posto ad arrazzanti leggins neri accompagnati da lunghe gambe diabolicamente stivalate, le forme culoidi non finiranno mai di turbarmi, anche da (ri)vestite. E lei era una di loro, studiava Economia e Management e i suoi jeans si inerpicavano chiari per quel metro e mezzo di gambe che facevano schizzare il mio testosterone alle stelle, non aveva bisogno di parlarmi, la mia manager, ero già il suo umile operaio pronto ad alienarsi tra le sue cosce infinite e a farla godere con la sua produttiva parlantina di addetto al reparto orgasmi. Un mese dopo già urlava e rideva stridula, urlava forte e imprecava, mentre mi affondava la testa nel suo inguine fradicio con la foga di una giovane belva in cattività. E io soffocavo in quel doppio taglio estetistico, parlavo fitto con quella labbra penzolanti mentre la bollente interlocutrice si sfregava sul mio naso e il mio mento, e poi tornava a conferir con la lingua mia parlando alle già stupefatte sinapsi mie.
TUTTO (PER LEI) TRANNE QUELLO. Era folle, era svampita, amava il lusso e le cose belle, amava me e le mie costosissime cene di pesce, il suo ventre ribolliva nelle discussioni labbra a labbra ma… odiava la penetrazione, non voleva sentirmi tra le sue gambe, godevo come un ossesso quando si esibiva in fellatio degne dei capolavori holmesiani nei bagni dei migliori ristoranti della città, era ingorda di proteine e di sfregamenti, aveva una carica esibizionistica e un immoralità innate ma! Niente tra le gambe! Iniziava ad urlare al solo sentirselo tra le ginocchia, mi insultava, porco, maniaco sessuale, mi urlava, e mi teneva il broncio fin quando non la vezzeggiavo in giro per l’Italia tra centri benessere, hotel a cinque stelle e lounge party pregni di corpi Gucci, Dior e giovani rampolli alle prese con investimenti su cessissime (secondo lei) ventitreenni più spregiudicate di lei.
E TU CHI SEI? In uno di questi party, mentre il mio sorriso ebete di individuo appena svuotato dalla sapienza delle sue dolcissime labbra si perdeva nel vuoto del locale affollato, Serena, la mia manager, mi presentò Eva, una sua bonissima compagna di corso di padre ceco e madre francese, avvolta da un leggins nero e un leggero strato di stoffa luccicante che lasciava le sue candide spalle scoperta. Stavo per impazzire al solo pensiero di sfiorarla, e lei mi parlava fitto di Parigi e del suo adorato museo Pompidou (mentre il mio cervello, al netto del sangue, ripeteva - pompi io o pompi tu? -), mi alitava nell’orecchio quel suo accento francese e parlava, parlava, non andava via, la mia testa ciondolava in scontatissimi assensi mentre il mio sguardo rimbalzava dalle caviglie bianche e vellutate alla sua quarta color latte; rischiavo un’eiaculazione precoce ogni volta che incrociavo il suo sguardo verde e incurante del mio tilt. Mentre mi sfiorava, per la prima volta, col ginocchio, il cavallo imbizzarrito, pensai si fosse sbagliata, ma la seconda volta mi ritrassi d’istinto, tanto ero teso, lei mi guardò sorpresa, chiedendomi chiaramente con quel verde brillante se mi desse poi così fastidio. Serena con il suo broncio ancor bene in vista, era da qualche parte della lounge arena, a parlare con chi sa chi, di chi sa cosa, e chissà cosa me ne fregava.
Ma ecco che apparve.
«Siete entrati subito in confidenza, a quanto vedo», esordì Serena un minuto dopo la tempesta elettromagnetica. «Eh, sì!», rispose Eva ammiccando. «E chi sa cosa vi sarete detti di così intimo da doverlo bisbigliare nell’orecchio», dubitando di noi. «Non si sentiva un tubo, con questa musica assordante», mi giustificai malamente. «Beh, sì, alla tua età l’udito inizia a scendere» mi punzecchiò la manager. «Siediti con noi», propose Eva. «Molto volentieri!» gracchiò Serena
ERA GELOSA DI ME! Non mi era mai venuto in mente che lei potesse essere gelosa di me, e mi girai di scatto a guardarla con uno sguardo da cerbiatto mendicante che ha appena ricevuto 500 euro da un generoso benefattore e… si sfiorarono, guardandosi dritte negli occhi si avvicinarono fino a baciarsi, e io non ero geloso di lei! Ma non mi dire che… si diedero un secondo bacio, lungo, appassionato, con la lingua e io non resistetti, scappai via, il bombardamento di adrenalina dovuto a quella visione surreale scatenò la mia reazione incontrollata, non ressi nemmeno l’idea di quell’orgasmo, troppe volte sognato, e mi rifuggiai in bagno.
CHI ERANO QUELLE CREATURE. L’acqua fredda che mi stavo buttando in faccia da dieci minuti stava iniziando a fare effetto, quando sentii bussare alla porta, Marco, Marco, come va, tutto bene, vieni fuori, erano loro e chiedevano la mia presenza, mi affacciai e vidi quelle due creature che mi mescolavano il verde e l’azzurro dei loro occhi in uno sguardo gravido di dolcezza e stavo per impazzire, scusaci se ti abbiamo turbato, vieni con noi, mi dissero, ci prenderemo cura di te, mi promisero, dai, non aver paura, vieni con noi. Mi presero per mano e mi portarono nel bagno delle donne, scusa Marco, non volevamo ingelosirti, né offenderti, lei è la mia ex ragazza, ci siamo volute bene e ce ne vogliamo ancora, ogni volta che ci incontriamo finiamo per fare l’amore, scusaci Marco, scusaci, ma non possiamo resisterci, ma questa volta vogliamo che tu stia con noi, ti va? E… iniziarono a baciarsi e a baciare me, dolcemente, poi mi presero per mano fino all’ufficio in cima alle scale, riuscii a vedere solo una lampada che diffondeva la semioscurità e loro due, spoglie dei loro leggeri vestitini di seta, erano lì nude, di fronte a me, lisce, sode, profumate e si toccavano l’un l’atra, le mani scorrevano a due a due, sulle cosce, sulle natiche, in mezzo alle gambe, a sfiorare quei ciuffi pubici per poi salire verso i capezzoli turgidi e tornare lì, mentre ansimavano una contro l’altra, poi tesero le loro mani verso di me accompagnandomi in mezzo a loro: si sfregavano contro di me accarezzandosi l’un l’altra e sentivo i loro monti di venere inumidirsi sul mio corpo, e poi Serena scese giù infilando la testa fra le mie gambe per sollazzare la nostra amica con la lingua, senza dimenticare me, riverito ospite nella sua bocca frenetica che impazziva al solo scorrere le mani su quei due corpi, incredulo di tanta bellezza. Quando arrivai a possedere a piene mani i seni di Eva esplosi, bianco latte, sulla schiena di Serena, inginocchiata ai nostri piedi e al cospetto degli spasmodici sussulti delle labbra dell’amore della sua vita che baciava l’uomo della sua vita: l’amore, uno e trino, aveva trovato la sua forma in quell’ istante! (Foto: Maurizio Fantini)
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