“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Piazza Fontana, 44 anni dopo la storia in Italia si ripete
Trattativa Stato-Mafia. Il magistrato Nino Di Matteo non è potuto andare a Milano ad interrogare il boss Brusca
PIAZZA FONTANA, 44 ANNI DOPO LA STORIA SI RIPETE. Mentre a Milano si celebrava il 44 anniversario della strage della Banca dell'agricoltura a piazza Fontana, per una coincidenza grondante di significati, la corte di Palermo era pure a Milano per interrogare Giovanni Brusca sulla trattativa Stato-Mafia. I due eventi colpiscono perchè i depistaggi di oggi, architettati dai poteri deviati dello Stato, ricordano i depistaggi di ieri e inducono a pensare che in Italia la strategia della tensione ora per un motivo ora per un altro non è mai finita. La storia si ripete. Io sono solidale con il magistrato Nino Di Matteo, il Pm della trattativa Stato-mafia, perché non è potuto andare a Milano ad interrogare Giovani Brusca per motivi di sicurezza.
DI MATTEO NON HA INTERROGATO IL PENTITO BRUSCA PER LE MINACCE DI RIINA. Anzi, per essere più precisi, perché Totò Riina tutto sommato lo ha impedito con le sue dichiarazioni. Intercettato durante una conversazione con un altro detenuto del 41-bis della Sacra corona unita avrebbe detto: "Di Matteo deve morire", "gli faccio fare la fine del tonno, come a Falcone e con lui tutti i Pm della trattativa", "devono morire, fosse l'ultima cosa che faccio". E' inutile nasconderlo Totò Riina ha il potere, benché in carcere in regime di 41 bis, di condizionare la Repubblica italiano a tal punto da impedire, di fatto, a Di Matteo di interrogare Brusca perché, come dice lo stesso mammasantissima è uno che "fa parlare i pentiti", "gli tira le cose di bocca"," è uno troppo accanito". Non priva di un certo involontario umorismo benchè macabro, è stata la proposta
dei servizi di sicurezza di fornire a Di Matteo un carro armato blindato per gli spostamenti come se Palermo fosse Kabul e l'Italia l'Afghanistan.
NON SIAMO A KABUL: DI MATTEO RIFIUTA IL CARRO ARMATO BLINDATO. Ma l'idea di andare in giro con un carro armato Lince proprio non è piaciuta al giudice che sensatamente ha rifiutato
l'offerta. E' bene ricordare anche i nominativi degli altri giudici su cui pende la condanna a morte di Riina cioè i Pm Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, oltre al procuratore aggiunto Vittorio Teresi, quello che ha dato un voto di 4 meno ai giudici che hanno assolto il generale dei carabinieri Mario Mori dall'accusa di favoreggiamento a favore di Cosa Nostra, quello stesso giudice che ha fatto parte del pool antimafia del primo maxiprocesso. Io da comune cittadino esprimo anche a loro solidarietà , la stessa solidarietà che avrebbe dovuta esprimere il presidente della Repubblica che non avendo detto una sola parola a tutela del giudice lo ha sostanzialmente deleggittimato.
I SILENZI DI NAPOLITANO E DEL PALAZZO ISOLANO DI MATTEO. Alla richiesta della corte di Palermo di testimoniare sulla lettera che il suo consigliere giuridico D'Ambrosio gli aveva inviato,
Napolitano aveva risposto di "non avere alcuna conoscenza utile al processo". Eppure la lettera conteneva espressioni che inducono a ritenere che il presidente Napolitano fosse in grado di riferire cose utili al processo. Purtroppo non potrà riferire sui nastri delle intercettazioni con Nicola Mancino, indagato per falsa testimonianza, in quanto, com'è noto la Consulta ne ha ordinato la distruzione eliminando così una prova importante sulla trattativa Stato-mafia.Tra le massime autorità dello Stato che lo hanno lasciato solo figura lo stesso Csm che, anzichè appoggiarlo nella pericolosa inchiesta, ha aperto un procedimento disciplinare contro di lui per presunte fughe di notizie relativamente alle intercettazioni tra Napolitano e Mancino.
FALCONE: «SI MUORE QUANDO SI E' LASCIATI SOLI». La deleggittimazione di Di Matteo non è meno pericolosa delle minacce di morte di Riina perché, come diceva Falcone "si muore quando si è lasciati soli" ed è per questo che è necessario esprimere la solidarietà dei cittadini onesti al Giudice che da 20 anni vive sotto scorta, come se fosse un recluso. Facciamo sì che non si ripetano più le commemorazioni come quella di ieri a Milano, peraltro contestata, per ricordare la strage fascista di piazza Fontana o quelle di Capaci e via D'Amelio dove Falcone, sua moglie, Borsellino e i rispettivi uomini della scorta persero la vita. Non abbiamo bisogno di commemorazioni funebri dove i politici, che non hanno mai mosso un dito per scoperchiare il verminaio che intreccia lo Stato all'eversione politica e mafiosa, vengano a recitare concioni inutili sui feretri dei servitori dello Stato. Ne abbiamo avute fin troppe. Abbiamo bisogno invece della verità sulle stragi, perché come disse
recentemente il giudice Salvini, l'ultimo ad occuparsi di piazza Fontana, il nostro è "un paese, purtroppo ancora inquinato dalla mala politica e dal malaffare perché alcuni dei responsabili di quelle stragi sono ancora ai posti di comando".
Clemente Manzo