"Mi scusi signor presidente". Il (Sub)direttore scrive a Mattarella

L'emergenza informazione, il reato di diffamazione, l'autocensura, le multe salatissime e la crisi economica dell'editoria nella lettera aperta al Presidente della Repubblica

"Mi scusi signor presidente". Il (Sub)direttore scrive a Mattarella

Egregio Presidente della Repubblica Sergio Mattarella,

invio questa missiva allo scopo di sensibilizzarLa su un tema fondamentale della nostra Costituzione: quello sancito all’Art. 21 con particolare riferimento alla libertà di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Come certamente saprà, il nostro Codice Penale prevede per il reato d’opinione, se ritenuto diffamante e lesivo dell’altrui onorabilità, la misura del carcere, che si traduce ovviamente, qualora il reo venisse condannato con sentenza definitiva, in una rieducazione al Patto Sociale presso servizi di pubblica utilità.

La struttura del reato "Diffamazione a Mezzo Stampa", come disposto all’Art. 593, procede a querela di parte e non prevede la fase del giudice per le indagini preliminari che accoglie o meno la richiesta di archiviazione della notizia di reato. Tocca, dunque, al magistrato incaricato del fascicolo analizzare l'articolo sub judice e che finisce, spesso e volentieri, in una richiesta di rinvio a giudizio perché, pur nel rispetto dei limiti previsti dalla deontologia professionale (continenza, veridicità e pertinenza), è nella fase dibattimentale – di per sé umiliante per il giornalista querelato a prescindere dall’esito del giudizio penale: cioè equivale già a una pena – che si accerta la verità.

A questo punto è facile intuire che il giornalista dovrà certamente pagarsi un avvocato ed affrontare il giudizio del tribunale per un numero di anni imprecisato, che può variare dai 3 ai 7, almeno per quanto riguarda il processo di primo grado. Infine si arriva al giudizio: se assolto, il tribunale disporrà il pagamento delle spese processuali a carico della parte soccombente ovvero le compenserà; se condannato, il giornalista dovrà pagare le spese legali di entrambe le parti, una sanzione amministrativa e, in via previsionale, anche un risarcimento da deliberarsi in un ulteriore processo civile (altri costi). Al contrario, se la querela si rivela temeraria, cioè infondata, non è previsto alcun risarcimento per il giornalista (o editore) che per tutto questo tempo è stato sotto procedimento penale e, eventualmente, fiaccato nel coraggio o, peggio, anche evitando di scrivere dell'argomento e della persona che lo hanno portato in tribunale.

Egregio Presidente, non c'è bisogno di ricordarLe che nel nostro ordinamento giuridico il reato di diffamazione a mezzo stampa, così come è concepito, rappresenta un vulnus alla libertà del nostro Paese, oltre che un enorme problema di democrazia. A dirlo non è solo il sottoscritto, modesto operatore del settore ed editore di una piccola testata on line, ma la prestigiosa organizzazione internazionale ‘Reporter Sens Frontiere’, che colloca il paese, di cui Lei è il massimo e degno rappresentante, al  57esimo posto tra Hong Kong e l'Ungheria su 176 nazioni tenute sotto osservazione. Come se non bastasse, è la stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo a chiederci di intervenire sulla questione della depenalizzazione del reato di diffamazione perché contrario alla Carta dei Diritti Umani del Giornalista. Ma mi fermo qui, senza troppo argomentare l'approfondimento "filosofico" dei risarcimenti imposti dal legislatore all'editore e/o giornalista che diffama, perchè rischierei di diventare noioso e forse anche "fazioso" nonostante le buone intenzioni di questa missiva.

Le scrivo perché c'è molta preoccupazione qui in Abruzzo, una terra poco abituata a fare giornalismo "Giornalismo", per le modifiche che il nostro Parlamento sta adottando: nel nuovo dispositivo c'è l'abolizione del carcere per il giornalista, l'obbligo di rettifica integrale e senza commento ma anche l'introduzione di sanzioni pecuniarie da 10mila fino a 50mila euro, anche per piccoli e modesti giornali online, che si vanno a sommare ai risarcimenti economici per la parte lesa. Insomma, tranne che per l'abolizione della previsione del carcere, le modifiche alla vigente legislazione, già approvate dal Senato della Repubblica, si confermano peggiorative e tali da mettere ulteriormente a rischio i diritti costituzionali: per i cittadini di disporre di una corretta e completa informazione, per i giornalisti di informare.

Naturalmente questa impostazione penalizza (leggasi: imbavaglia) con efficacia i piccoli editori: coloro, cioè, che non possono avere quella capacità economica per difendersi e che, per assurdo, non possono addirittura permettersi il lusso di diffamare - è una provocazione - come qualche malpensante potrebbe pensare. A risentirne, insomma, è l'intera categoria che sarà sempre più schiava e intimorita (per varie comprensibili ragioni che non sto qui a sottolineare) considerando anche non esiste un broker che assicuri l'esercizio del mestiere di scrivere da eventuali errori inerenti alla professione come, al contrario, avviene per tutte le altre categorie professionali (medici, avvocati, commercialisti, ingegneri etc). Gli unici assicuratori sono internazionali: i LLoyds di Londra, ma è facile intuire che il premio è un lusso al quale soltanto i grandi editori (Caltagirone, Berlusconi, De Benedetti) possono accedere. 

Mi consenta, in ultimo, di spendere una parola sull’opportunità di rendere più libera e forte la stampa, incoraggiare gli editori meritevoli a fare un'informazione di qualità ed evitare "gli inevitabili" e malsani legami tra potere e giornalismo che soltanto un occhio miope finge di non vedere. Per questo mi vengono in mente delle banali e semplici operazioni. Ad esempio disciplinare in maniera trasparente le pubblicità istituzionali e legali, che sono la vera benzina dell'editoria (cartacea e web) e che permettono al settore di continuare a resistere in un Paese fiaccato dalla più grave crisi economica dal Dopoguerra.

Chiudo qui, caro Presidente Mattarella, augurandomi che possa trovare il tempo di occuparsi anche della condizione umana e professionale degli editori indipendenti, come me, che non godono di alcun beneficio statale, operano in un mercato drogato dalle provvidenze e, per giunta, senza alcuna tutela da parte del nostro ordinamento. Se vorrà, ne sentirà l'esigenza o quello che Le sembrerà più opportuno, mi piacerebbe che mi concedesse l'onore del dialogo (fisicamente al Quirinale o dove e come Lei preferità) per meglio conoscere una storia vera, la mia: cioè quella di un editore libero ed indipendente e che lotta tutti i giorni per tenere la schiena dritta e fare i conti con la propria coscienza.

Altrimenti, e non è una minaccia, mi resterà davvero il sospetto - soprattutto se il Parlamento dovesse approvare la nuova legge sulla diffamazione - che Nessuno in questo Paese abbia interesse affinche ci sia una stampa libera dal potere e che lo controlli sul serio, senza fare sconti a nessuno.

Con rispetto e sincerità.

Marco Manzo

 

 P.s.

Questa lettera verrà pubblicata su Abruzzo Independent ma, per sicurezza, provvederò ad inviarla al Palazzo del Quirinale, 00187 Roma. Cordiali saluti.