“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
La Scienza italiana tra illusioni, colpi di stato e fake news made in Europe
L’Italia non ha mai brillato negli ERC grants, organismo dell'Unione europea che premia i ricercatori di eccellenza di qualsiasi età e nazionalità
LA SCIENZA ITALIANA TRA ILLUSIONI, COLPI DI STATO E FAKE NEWS MADE IN EUROPA. Perché l’Italia ne esce così male? Gli scienziati italiani, pochi ma in grande maggioranza buoni, sono maltrattati oltre ogni limite di decenza. L’Italia è un paese in difficoltà. Per la sua incapacità di innovare che deriva, a sua volta, da una cultura scientifica insufficiente anche tra le classi dirigenti. L’Italia non ha mai brillato negli ERC grants. Quest’anno, dei 269 ricercatori premiati gli Italiani sono 16, contro 50 Inglesi, 40 Germanici, 29 Francesi e 21 Spagnoli. Il ranking delle università e dei centri che ospitano i vincitori non è certo esaltante: 66 in Gran Bretagna che si predispone a lasciare l’Europa, 42 in Germania con una emigrata italiana: Alessandra Moretti all’Ospedale universitario Rechts der Isar, e Giuseppe Caire, Università Tecnica di Berlino; 34 in Francia con l’italiano Giovanni Marsicano in forza all’Inserm; 18 in Spagna, 16 nei Paesi Bassi con Stefano Stramigioli all’Università di Twente), 13 in Svizzera con Marco Mazzotti, Istituto Tecnico Federale di Zurigo, a pari merito con Israele, e finalmente 11 in Italia. Seguono Svezia (10), Belgio (8), Austria (7), Danimarca (5), Finlandia (4), Irlanda (3), Ungheria e Norvegia (2), Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Turchia (1). La Ricerca non ha frontiere ed è l’impresa più internazionale che vi sia. Ma il paragone con i Mondiali Fifa di Calcio in Russia viene spontaneo: una grande squadra, una grande storia, nella polvere come la nazionale azzurra e la sovranità istituzionale e politica degli Italiani. Un declino costante nei finanziamenti alla ricerca e all’università ha caratterizzato la politica italiana degli ultimi 15 anni, portando alla lenta asfissia del sistema e alla fuga irreversibile dei talenti all’estero, con alcune lodevoli eccezioni. La componente di finanziamento competitivo in Italia è stata sempre un decimo di quella degli altri Paesi ai quali ci si ostina follemente a paragonarsi: prima di tutto Gran Bretagna, Germania e Francia. Nessun governo in Italia ha preso in considerazione l’istituzione di una Agenzia della Ricerca capace di valutare con metodi accettabili e di finanziare conseguentemente i migliori, come si usa in quasi tutti i Paesi della Unione Europea, in Russia e ancora di più negli Stati Uniti d’America. E ciò nonostante sono ancora tanti i talenti italiani, come dimostra la buona posizione che l’Italia riesce a tenere almeno nella produzione di letteratura scientifica di qualità, e la lista di coloro che ancora riescono ad assicurare ai centri e alle università italiane quegli 11 Grants. I vincitori degli Advanced grants ERC A.D. 2018 in Italia sono: Paolo Tonella, Fondazione Bruno Kessler; Rino Rappuoli, Toscana Life Sciences, Siena; Lorenzo Pavesi, Università di Trento; Giammarco Ottaviano, Università Bocconi; Benedetta Mennucci, Università di Pisa; Stefano Leonardi, Università di Roma, La Sapienza; Maria Sofia Lannutti, Università di Pavia; Mauro Giacca, Università di Trieste; Antonella Ghignoli, Università di Roma La Sapienza; Andrea Cavagna, Consiglio Nazionale delle Ricerche; Salvatore Maria Aglioti, Università di Roma La Sapienza. Ma senza un cambio deciso di rotta fino a quando reggerà il sistema? Siamo sicuri che anche di questo stanno parlando le delegazioni dei partiti che in questi giorni si avvicendano nelle sale dorate del Quirinale prima delle prossime Elezioni Politiche sovraniste? Il CNR, insieme ad alcuni dei più importanti Enti Pubblici di Ricerca di Francia (CNRS), Germania (Helmoltz e Leibniz) e Spagna (CSIC), ha dato vita a Bruxelles a un Manifesto (http://www.mff4researchandinnovation.eu/) che sottolinea la necessità di un prossimo bilancio UE, per il periodo 2021-2027, con maggiori fondi per le attività di Ricerca e Innovazione. Anche le grandi organizzazioni scientifiche, che hanno per tradizione una vocazione governativa, percepiscono a torto o a ragione un crescente pericolo per la libertà di ricerca; e avvertono, almeno in questa contingenza storica, le ottime opportunità che offre un’alleanza organica con l’opinione pubblica. Ragioni che valgono soprattutto per l’Italia che sta perdendo sotto gli occhi di tutti, per bocca del Capo dello Stato, la sua sovranità scientifica, economica, istituzionale e politica. Il Brunswick, nel Land della Bassa Sassonia, non molto lontano da Hannover, ha di che esserne fiero. Il recente rapporto pubblicato a Bruxelles, “Science, Research and Innovation Performance of the EU 2018. Strengthening the foundations for Europe’s future”, con il 9,5% di investimenti rispetto al Prodotto interno lordo, lo classifica primo tra le trenta aree a maggiore intensità di R&S (ricerca scientifica e tecnologica) dell’Unione Europea. Certo, il Brunswick è un’area piuttosto piccola, con i suoi 250.000 abitanti non supera un quartiere di Roma o di Milano. Ma non è sola. L’area di Stoccarda, che ospita due industrie importanti come la Mercedes-Benz e la Porsche, figura al terzo posto, con il 6,2% di investimenti in R&S rispetto al Pil. E l’intera Germania conta ben sei aree ad alta intensità di R&S tra le prime 12 classificate dal rapporto. Per quanto riguarda l’Italia, non entra in classifica. Tra le trenta aree europee più avanzate nell’economia della conoscenza, di cui l’intensità di R&S è il principale anche se non unico indicatore, non ce n’è neppure una colorata di bianco, rosso e verde. A dimostrazione che l’Italia è ai margini di questa economia. Nell’anno 2000 gli investimenti della Cina rappresentavano il 5% del totale mondiale. Nel 2016 erano già saliti al 21%. Al contrario, quelli dell’Europa, che nel 2000 rappresentavano il 25% del totale mondiale, sono scesi al 20% nel 2016. Non meglio è andata agli Stati Uniti, che sulla bilancia globale sono passati nel medesimo periodo dal 37 al 27%. La Cina ha aumentato l’intensità degli investimenti a ritmi impressionanti, passando dallo 0,89% del Pil nell’anno 2000 al 2,07% del 2015. Ma non c’è solo il Paese del Celeste Impero del Dragone. Nel medesimo periodo la Corea del Sud è passata dal 2,18 al 4,23% e il Giappone dal 2,91 al 3,29%. In altri termini nella geografia della ricerca c’è un evidente “shift” dall’Occidente verso l’Oriente, dall’Atlantico all’Indopacifico. Che l’Occidente non accetta a cuor leggero. Con buona pace di chi crede che le fake news siano un fenomeno essenzialmente giornalistico, emendabili sempre e comunque dalla Scienza. Secondo il ben noto dossier di Lancet dedicato al tema, lo spreco nella ricerca ammonterebbe a circa 200 miliardi di dollari all’anno, pari all’85% dell’investimento mondiale in ricerca, dove la mancata riproducibilità degli studi giocherebbe una parte non secondaria insieme ad altri difettacci, come la futilità di molti studi, i conflitti di interesse, l’incompletezza, la cultura della segretezza, e non ultimo la burocrazia che tutto inghiotte. “Scoperta. Come la ricerca scientifica può aiutare a cambiare l’Italia” , il libro di Roberto Defez. La colpa è degli scienziati italiani.
Nicola Facciolini