“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
“Imprenditori suicidi, il collasso delle imprese italiane"
La scrittrice aquilana Samanta Di Persio torna a parlare della crisi. Intervista di Leonardo Dongiovanni
La scrittrice aquilana Samanta Di Persio torna ad informarci con un libro sulla crisi economica: “Imprenditori suicidi, il collasso delle imprese italiane”, è stata intervistata da Leonardo Dongiovanni
Cosa ti ha spinta a scrivere Imprenditori suicidi? Come spiego nella mia introduzione a fine giugno del 2010 mi svegliai con il desiderio di indagare e sapere quanti suicidi legati al mondo del lavoro erano avvenuti fino a quel giorno, forse per una strana equazione che se di lavoro si muore per infortunio o per malattia, allora è possibile che si muoia anche per la sua mancanza. Rimasi sbalordita per il numero di nomi che trovai su Internet e così scrissi un post provocatorio sul mio blog: “Mara Carfagna morirà di non lavoro?” In poco tempo ricevetti molte visite e il mio pezzo venne ripreso da altri blog, sono tornata spesso sull’argomento e così decisi di scriverci un libro.
Leggendo i titoli delle tue precedenti pubblicazioni “Morti bianche”, “Ju tarramutu”, “La pena di morte italiana” si ha l’impressione che vi sia un filo conduttore, potresti confermare che ci sia un incastro fra le tue opere? I titoli sono scelte editoriali e quando ho letto l’ultimo ho pensato che qualcuno potrebbe iniziare a fare scongiuri. A parte gli scherzi, nei miei libri ci sono le testimonianze dei cittadini che sono vittime di ingiustizie. Per chi muore sul lavoro al massimo c’è un risarcimento di scarsi 2mila euro per le spese funerarie. Per gli aquilani c’è una città ancora da ricostruire. Per chi muore in carcere c’è una divisa che non si processa e per gli imprenditori e/o i lavoratori che si tolgono la vita non c’è nemmeno un processo. In tutti questi casi c’è la solitudine delle vittime e dei familiari ed enormi vuoti di Stato.
Quali sono le sensazioni che provi quando ti trovi ad intervistare gente che patisce gli errori di un’amministrazione inadeguata del Paese? Intervistare cittadini che hanno vissuto e vivono ingiustizie in prima persona è sempre molto difficile emotivamente perché diventi un confidente, con molti si riesce ad instaurare un rapporto che va oltre la testimonianza, in alcuni casi sono nate amicizie. E’ sempre emozionante intervistare madri che perdono i loro figli, ci sono testimonianze che mi suscitano rabbia nei confronti delle istituzioni ogni volta che le rileggo.
Quali sono le resistenze che ti trovi di fronte ogni volta che inizi un tuo lavoro? Ci sono due tipi di resistenze: prima e dopo l’uscita. Durante la stesura spesso i testimoni cambiano idea per paura di querele o di perdere diritti acquisiti, ovviamente ognuno è libero di fare le proprie scelte, ma poi non ci si può lamentare. Dopo l’uscita c’è l’ostacolo dei media che non pubblicizzano libri di sconosciuti, Bruno Vespa viene invitato in tutti i programmi perché fa parte di un sistema, chi non ne fa parte se lo pubblicizza su internet e devo dire che le soddisfazioni ci sono ugualmente.
C’è una testimonianza in “Imprenditori suicidi” che ti ha colpito in particolare? Questa volta le testimonianze sono davvero tante, del resto tutta l’Italia è in crisi. Ho raccolto la voce di imprenditori del Nord e del Sud. Mi ha colpita la tenacia di Piera Levo Petrini che da sola ha denunciato i funzionari della banca che le hanno fatto sottoscrivere dei derivati che invece di garantirle solidità le stavano facendo fallire l’azienda.
Hai dedicato un capitolo a L’Aquila, perché? L’Abruzzo è una regione in difficoltà, in particolar modo L’Aquila perché purtroppo la ricostruzione non ha rappresentato fin’ora un’opportunità. Dalle inchieste in corso è chiaro che anche quando c’è la possibilità di uscire dalla crisi in Italia si deve far fronte a problemi che ci trasciniamo dietro da tempo: corruzione e clientelismo.
Qual è la tua “ricetta” per uscire dalla crisi economica? Non sono un’economista, ho dato solo un esame di economia all’università , ma è evidente che la strada percorsa fin’ora è sbagliata. Abbiamo avuto una classe dirigente che ha negato la crisi per anni, mentre gli italiani iniziavano ad accusare i colpi: fallimenti, chiusure, cassa integrazione fino ad arrivare ai suicidi. Quello che strozza le piccole e medie imprese è la pressione fiscale, ci sono gli onesti che pagano fino in fondo e ci sono coloro che sono sconosciuti al fisco. Una lotta seria all’evasione non è mai stata portata avanti, piuttosto c’è chi ha preferito lo scudo fiscale, il rientro di capitali dall’estero garantendo l’anonimato avvantaggiando i soliti amici degli amici.
L.D.