“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Giornata internazionale per l'eliminazione delle discriminazioni razziali
21 marzo 1960, massacro di Sharpeville (Sudafrica): se non noi, hanno visto la notizia al telegiornale i nostri padri.
Giornata internazionale per l'eliminazione delle discriminazioni razziali: a che punto ci siamo lasciati? 21 marzo 1960, massacro di Sharpeville (Sudafrica): se non noi, hanno visto la notizia al telegiornale i nostri padri. La popolazione protestava contro l'Urban Areas Act, un provvedimento che obbligava i cittadini neri a mostrare un particolare documento, ove venissero fermati in aree riservate ai bianchi. Così, forse, gli appestati nel medioevo! Quel giorno 300 poliziotti bianchi uccisero 69 loro concittadini. Sei anni dopo, le Nazioni Unite istituirono la Giornata Mondiale per l'Eliminazione della Discriminazione Razziale. Il Sudafrica doveva attendere altri ventotto anni per vedere la fine, formale, dell'apartheid (l'Italia, in questo, è stata avanti, con quel vangelo universale che è l'articolo 3 della Costituzione che, lo ricordiamo, è del 1948). In quegli anni hanno lottato e sofferto, con la pelle e l'anima scorticate da prigione, torture e da ogni possibile forma di discriminazione, in tutto il mondo, donne, bambini, uomini. Alcuni sono eroi e li conosciamo, Nelson Mandela, Malcon X, Martin Luther King. Di altri possiamo solo sentire l'eco. Può sembrare strano pensare che, quando eravamo bambini o quando i nostri genitori avevano l'età che abbiamo noi adesso, in molte parti del mondo, Stati Uniti inclusi, una pigmentazione diversa della pelle, potesse avere ripercussioni sul posto che una persona poteva o non poteva occupare sull'autobus, sulla scuola che un bambino poteva o non, frequentare, persino sulla panchina su cui un vecchio, o una giovane coppia innamorata, poteva non, sedersi. Eppure ci sono volute le scorticature fisiche e dell'anima perché tutto questo fosse superato. ... Superato? Legalmente si. Ma nella testa? Che c'è nella nostra testa, quando vediamo un nero? Magari qui, nella nostra esistenza provinciale, non ci sentiamo affatto razzisti ma, andiamo su, ammettiamolo, un po' vogliamo che ci stia alla larga. Magari non il compagno di classe di nostro figlio, lui no, è un bravo ragazzo, "nonostante" sia nero, ma gli altri, dai, saranno ambulanti o ladri, chissà che vogliono! Siamo scorticatori di anime, ecco cosa siamo, razzisti aggrappati a belle parole e non importa che da quasi otto anni, l'uomo più importante del mondo sia un afroamericano, Barack Obama. Non importa perché un po', dietro dietro, in un angolino della schiena, dove non vogliamo vedere, in corrispondenza della bocca dello stomaco, un po' non li vogliamo, un po' non li sopportiamo. Un po' restiamo al punto di allora: ai margini dell'umano.
Giada C.