“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Emergenza Covid e prestazioni psicologiche: in presenza o a distanza, ma guai a interromperle
Durante la pandemia sono subentrati gli obblighi della mascherina per lo svolgimento della professione dal codice Ateco 86.90.30
Durante l’emergenza sanitaria mondiale, l’attività professionale degli psicologi, contrassegnata dal codice Ateco 86.90.30, non è mai stata costretta a un’interruzione, ma è sempre rimasta tra quelle consentite dalla legge italiana.
Il Decreto Legge 125/2000 ha reso obbligatoria la mascherina sia all’aperto che nei luoghi chiusi diversi dalle abitazioni private. Di conseguenza anche negli studi professionali degli psicologi, l’uso della mascherina è diventato d’obbligo.
Nemmeno il passaggio a zona rossa ha di fatto creato ostacoli giuridici all’esercizio della professione di psicologi e psicoterapeuti, sebbene la modalità a distanza sia stata dichiarata come da prediligere ovunque sia possibile.
Per tale motivo, in diverse regioni gli ordini degli psicologi hanno chiarito in che modalità siano da svolgere le prestazioni a distanza.
Un primo tema è quello che riguarda un aspetto prettamente burocratico, ovvero la raccolta del consenso al trattamento dei dati personali e del consenso al trattamento sanitario.
Mentre il consenso sul trattamento dei dati personali non dovrebbe essere raccolto nuovamente per tutti i pazienti (vecchi e nuovi), ma solo per i nuovi, il consenso sul trattamento sanitario va raccolto per tutti, quindi anche per coloro che sono assistiti dallo specialista fin da prima del passaggio alla modalità a distanza. Il motivo è che bisogna raccogliere in forma esplicita il consenso a questo nuovo tipo di terapia, che avrà forme diverse da quelle già svolte in presenza.
Ma una volta chiarite le formalità burocratiche, come si attua la scelta se preferire la terapia a distanza rispetto a quella in presenza?
Terapia a distanza: la necessità di aprire un dibattito
Per prima cosa, occorre precisare che la riflessione sull’efficacia della terapia a distanza sta interessando già da tempo il mondo dei professionisti della salute mentale, con ricerche che mostrano come vi siano persino alcune categorie di pazienti che verrebbero facilitati dalla modalità on line. Ne sono un esempio i pazienti che soffrono di disturbi come l’agorafobia, oppure gli adolescenti che vivono condizioni di auto-isolamento ed auto-esclusione dal mondo. Per questi soggetti, la possibilità di fare terapia mettendo tra sé e il terapista la distanza rappresentata dal mezzo (internet) può essere addirittura un elemento rafforzativo degli effetti della terapia stessa.
Naturalmente, questa tipologia di intervento mostra anche dei limiti: manca un setting strutturato, manca il contesto fisico in cui avviene la terapia, un contesto fisico che spesso è protetto da suoni, rumori e presenze esterne disturbanti. Quanti di noi hanno sofferto durante il lockdown proprio per l’assenza di un rifugio sicuro e riparato nella propria casa?
Comunque, la situazione ha obbligato molti pazienti e psicologi a prediligere questa modalità di interazione, perciò è il momento giusto per farsi una serie di domande e valutare se questa possa essere o meno una delle possibili strade anche dopo il covid.
Il caso limite della terapia di gruppo
La terapia di gruppo, ovvero quella terapia in cui “un insieme di persone si incontrano periodicamente in presenza di un conduttore in un contesto che rende possibile produrre e analizzare i propri sintomi e i propri modi di interagire, così da giungere a una risoluzione dei conflitti e a forme di esistenza più adeguate e soddisfacenti” (Fonte: definizione psicoterapia di gruppo), è stata una delle modalità terapeutiche messe a più dura prova dal Covid, nonché una delle forme terapeutiche maggiormente soggette al passaggio dalla modalità in presenza a quella a distanza.
È stato un passaggio che ha suscitato preoccupazioni e timori. Il timore di alcuni esperti era che da remoto potesse perdersi “la dimensione di accoglienza fisica, affettiva e relazionale” e che si riducesse “la regolazione dei meccanismi di cambiamento che sono centrali nella psicoterapia di gruppo; si perdono il contatto visivo e l’odore e la coordinazione visiva tra conduttori; è ipotizzabile quindi che si riducano “[…] la comunicazione collaborativa, il dialogo riflessivo, la riparazione interattiva, la narrativizzazione coerente e la comunicazione emotiva” (Siegel, 1999).”
Tuttavia, come hanno riportato Bello, Corso e Tombolini nell’articolo di State of Mind appena citato (e che si può leggere qui per intero: https://www.stateofmind.it/2020/06/psicoterapia-gruppo-online-covid/), il passaggio alla terapia di gruppo ha avuto anche risvolti positivi, tra cui il più importante quello di non aver perso – almeno non del tutto – il rapporto con il terapista e di aver mantenuto la consuetudine di riunirsi per fare terapia. Da queste constatazioni di base si articola tutto il resto, come la coesione del gruppo attorno alla grande narrazione collettiva della pandemia, o ancora la solidarietà verso gli altri membri del gruppo, soprattutto quelli più implicati nella gestione dell’emergenza sanitaria. Da parte loro, i terapisti hanno dichiarato di essersi sentiti messi su un piano di maggior parità e simmetria rispetto ai pazienti, soprattutto a causa della scomparsa della stanza del terapeuta. Nella terapia a distanza, la casa di ciascun paziente diventa studio, per cui il rapporto si configura come meno gerarchico.
Ma non è solo questo: tante piccole sfumature, supportate da evidenze e ricerche scientifiche,descrivono la terapia di gruppo a distanza come una possibile forma di terapia, da praticare ora – nell’emergenza – e forse anche dopo, una volta passata quest’ultima. Una formula che ha consentito la continuità di alcuni servizi di riabilitazione e terapia, e che in futuro potrebbe diventare uno strumento importante a disposizione dei pazienti e degli specialisti. In tal senso, lo stato di emergenza in cui versiamo potrebbe essere accolto come un’opportunità per testare queste forme di intervento, mettendole a disposizione dei pazienti più fragili anche in futuro. Un’occasione per costruire oggi un patrimonio esperenziale a disposizione dei pazienti che verranno.
Redazione Independent