“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Cyber censura: un polpo digitale dalle mani sporche di diritti violati che affama la verita
Il 12 marzo è la Giornata Mondiale contro la Censura Digitale. Reporter Sans Frotieres denuncia arresti e torture di blogger e giornalisti nel mondo
LA GIORNATA MONDIALE DELLA CYBER CENSURA. Il 12 marzo è la Giornata Mondiale contro la Censura Digitale. Reporter Sans Frontieres è stato, negli anni, megafono instancabile delle criticità che favoriscono la cyber censura ed organo di denuncia di arresti e torture di blogger in diversi paesi del mondo. Il report 2011 ha mostrato un anno “di violenza senza precedenti” nei confronti di blogger e cittadini che utilizzano internet come strumento di denuncia: cinque morti e più di duecento arresti. Ma nel 2012 sono stati uccisi più di cinquantasei giornalisti ed incarcerati oltre trecento cyberattivisti ed il trend non muta. La cyber censura è repressione dell’informazione e della libertà di espressione attraverso blocco e manipolazione di contenuti. I paesi in cui è più attiva sono la Siria, la Cina, il Bahrain, il Vietnam, classificati da RSF come “nemici di internet”. Paesi censori che vanno e che vengono: nel 2012, sempre Reporter Sans Frontieres ha incluso nei paesi “sotto sorveglianza”, India e Kazakistan. La censura viene perpetrata sia esplicitamente che attraverso sabotaggi nell’accesso ad internet, filtri, sorveglianza di email, social network, blog. In alcuni paesi , come il Vietnam, si limita per decreto l'uso di blog e social network per la "diffusione " o "condivisione" "delle informazioni personali"; in altri, come l’Arabia Saudita, c’è anche un forte controllo legislativo statale “all’ingresso” di tutti i siti web. Paesi lontani? Non lo sono, e non lo sono in un mondo globalizzano in cui viviamo tutti più vicini che mai e lo scambio di informazioni viaggia (rectius dovrebbe viaggiare) alla velocità di un click. Se non basta il dito, diamo uno sguardo alla luna: Russia, Cina, Turchia (si, proprio lì, accanto a noi). In Russia, non esattamente la madre della libertà di informazione (impossibile dimenticare omicidi di giornalisti come quello, a tutt’oggi senza un colpevoli, di Anna Politkovskaja), nel 2013 è stata approvata una legge “anti-pirateria” che prevede il blocco degli operatori internet, che immettono illegalmente «film cinematografici, filmati televisivi o informazioni necessarie per ottenerli>>. I media locali (ma anche Google) hanno denunciato il rischio di censura, con interi siti che potrebbero finire in una apposita blacklist. Il Tribunale di Mosca, competente in materia, entro tre giorni individua l’hosting provider del materiale del sito denunciato per violazione del diritto d'autore, ed ordina di rimuoverlo. In caso di mancato rispetto dell’ordine, dopo tre giorni viene limitato l’accesso al web. In Cina esiste un esercito di impiegati che monitora i microblog e lo stato dei media locali, con l’intento formale di combattere le frodi commerciali. In sostanza, lo stato interviene sui contenuti, sia televisivi che internet, accessibili alla popolazione. È della settimana scorsa la notizia, riportata sul theguardian online, di una nuova regolamentazione cinese sui contenuti che “ingrandiscono il lato buio della società”, bannando, in sostanza, i contenuti gay dalla televisione. In Turchia l’Autorità per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, è intervenuta pesantemente, anche spegnendo, in certi momenti, twitter; i giudici hanno molta discrezionalità nell’azione, grazie anche ad una norma “ampia" rispetto ai reati di opinione e alle offese alle autorità (art. 301 del codice penale) e nel 2014 Human Rights Watch (Hrw) ha denunciato che il governo di Ankara “negli ultimi mesi ha esteso i suoi poteri di censura online dei contenuti e di controllo dell’attività in rete senza una supervisione indipendente”. E’ notizia della settimana scorsa, e non possiamo tacerne, il “commissariamento” di Zaman, il principale giornale di opposizione al governo turco, anche nella sua versione online. E’ fondamentale ricordare che ci sono paesi del mondo materialmente non raggiungibili, per la loro pericolosità, dove realmente l’unica fonte di informazione può essere il blogger o il cittadino cyber attivo. Tutto ciò viene spesso schiacciato anche nel sangue, come è accaduto al giovane Raif Badawi condannato il 7 maggio 2014 a 10 anni di carcere e mille frustate, in Arabia Saudita, perchè blogger, per il quale Amnesty International ha lanciato una petizione che in molti abbiamo firmato. Per la “sopravvivenza digitale” Reporter Sans Frontieres ha reso disponibile sul suo sito un kit che i reporter possono utilizzare quando registrano informazioni sensibili online o le archiviano in computer o telefoni cellulari, si indica inoltre, ad esempio, come usare una rete apposita per l’anonimato online, e si danno consigli su come rendere più sicure le comunicazioni. Associazioni, come la Electronic Frontier Foundation, hanno diffuso un vademecum in cui si invitano i produttori occidentali di tecnologie di sorveglianza, dunque aziende private, a non venderle agli stati autoritari. E da noi? Nel ricordare, doverosamente anche se parzialmente off topic, che nel 2015 Freedom House ha classificato la stampa italiana come Partly Free ("parzialmente libera"),e che nel medesimo anno Reporter Sans Frontieres ha assegnato all'Italia il 73º posto per la libertà di stampa, si evidenzia come non siano molte le leggi riguardanti la rete e come attengano, per lo più, ad argomenti specifici, tipo la pirateria digitale. Alcuni social network, facebook, ad esempio, applicano un filtro alla pubblicazione di contenuti a sfondo sessuale e l’utente può segnalare frasi ritenute offensive o lesive. La giurisprudenza tende ad equiparare ciò che accade in rete con quanto previsto dalle norme generali già esistenti, si veda, in proposito, la recentissima sentenza della Corte di Cassazione penale, n. 24431/2015, per la quale, in sostanza, l’offesa su una bacheca facebook è equiparata a diffamazione a mezzo stampa. L’obiettivo da perseguire, per noi, qui ed altrove, è e non può che essere, sempre e comunque, quello di una piena e concreta libertà di espressione e di informazione anche online. Per questo scriviamo e continueremo a scrivere.
Testo: Giada Cucci.
Immagine: @NominoOrientale