Centrale Fater, dov'è l'etica?

Dall'Africa a via Raiale, corsa alla terra per le biomasse. L'impianto da 9Mw utilizzerà olio vegetale di jatropha

Centrale Fater, dov'è l'etica?

DALL'AFRICA A VIA RAIALE - L'unica preoccupazione emersa finora sui giornali, ultima ma non da ultima, è l'innalzamento delle polvere sottili nell'aria. Ma la domanda è una sola: non dovremmo forse interrogarci più a fondo sull'opportunità di piazzare a Pescara una centrale a biomasse che importerà olio di jatropha dall'Africa?

AMBIENTALISTI: PERICOLO INQUINAMENTO - La notizia che circola da qualche giorno è sempre la stessa: alcune associazioni ambientaliste, fra cui il Wwf, avrebbero posto più di un dilemma sulla centrale della Fater, in costruzione da poco, ma, a quanto pare, già al centro delle polemiche. Secondo parte degli ambientalisti infatti la centrale porterebbe dritto alla produzione di polveri sottili, ma per la società Ecoval, che ha stilato per la Fater lo studio del caso, il livello di polveri rilasciate nell'aria resterebbe nella norma.

IMPIANTO A OLIO VEGETALE DA 9MW - Ed è proprio sul sito della Ecoval che si trovano i dettagli della centrale, un impianto di cogenerazione a olio vegetale da 9 MWe nel mezzo della città, che ogni anno dovrebbe prevedere l'uso di 13.394 tonnellate di olio. Resta da capire se quest'olio, che secondo molti sarebbe più sostenibile rispetto ad altri sia dal punto di vista etico che ambientale, perché la jatropha è una pianta che cresce in zone semidesertiche, e dunque non “ruba” spazio alle colture a fini alimentari, sia davvero così efficiente.

REPORT: CORSA ALLA TERRA - Secondo quanto ricostruito nel servizio di Report “Corsa alla terra”, andato in onda sui rai tre il 18 dicembre scorso, e altre fonti internazionali, la resa delle piante di jatropha in condizioni di semiabbandono è piuttosto una chimera: perché le piante producano fiori e dunque frutti da cui estrarre l'olio a ritmi proficui per il mercato occidentale è necessario irrigare le terre dove la jatropha viene coltivata. Questo vuol dire una cosa sola: acqua per il biodiesel che deve arrivare in occidente. In Africa. Dove la corsa all'acqua, inutile dirlo, è la corsa all'oro.

LA DIFESA DELLA FATER - La Fater dal canto suo ha prontamente risposto che l'attenzione dell'azienda alle tematiche ambientali è fuor di dubbio, e ha reso note le proprie virtù: negli ultimi 4 anni ha ridotto del 45,7% il consumo di metano per unità di prodotto e del 9,8% il consumo per unità di prodotto di energia elettrica, ha eliminato 6580 camion dalle strade prediligendo vie commerciali più efficienti, e ha avviato a recupero, nell'ultimo anno, il 100% dei rifiuti industriali del suo stabilimento di Pescara. Secondo il colosso “utilizzare oli vegetali non edibili, significa utilizzare combustibili rispettosi dell'ambiente e delle persone: non essendo idonei ad usi alimentari, infatti, il consumo di questi oli come combustibili vegetali evita nei paesi di origine tutte quelle problematiche sociali connesse alla crescita dei prezzi di oli edibili usati per produrre cibi di base”.

RIPERCUSSIONI ETICHE - Uno studio effettuato dallo Iied, International for Environment and Development, un istituto indipendente di ricerca britannico, dice però che, fermi restando alcuni benefits che le popolazioni del sud del mondo potrebbero trarre dalla coltivazione di terreni a jatropha per il biofuel, potrebbero esserci serie ripercussioni dal punto di vista sociale in paesi caratterizzati in alcuni casi dall'insicurezza del cibo e della estrema fragilità del diritto alla terra, dove la scelta di vendere i “campi” è il dettato di un governo centrale che, spesso, non ha chiesto nulla alle popolazione locali.

UNA STORIA GIA' NOTA  - Lo sanno, secondo il report “Africa: up for grabs”, stilato da Friends of the Earth Europe, i contadini dello Swaziland, a cui avevano detto che la jatropha cresceva bene in condizioni pressoché desertiche, e che hanno scoperto invece che per le giovani piante serviva più acqua del previsto. Lo sanno i contadini del Mozambico, che hanno abbandonato la coltivazione di jatropha perché non riuscivano a gestire contemporaneamente i campi per il loro sostentamento, e hanno cominciato a piantare la jatropha anche nelle terre fertili.

Questi motivi sembrerebbero sufficienti per dubitare dell'opportunità di portare quell'olio fino in via Raiale, prima ancora di imbarcarlo su nave, prima ancora di poterlo accusare di un ipotetico innalzamento di polveri sottili.

Non resta che sperare che l'azienda pescarese faccia chiarezza, spiegando ai cittadini da dove arriva quell'olio, da quale campo, in quale paese, con quali presupposti. E soprattutto, a che prezzo. Staremo a vedere.

 

C.G.