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Camorra a L'Aquila. Le mani dei Casalesi sui cantieri privati
Scoperto giro d'affari di oltre dieci milioni di euro. Il sostituto procuratore David Mancini spiega il meccanismo criminale
CA;ORRA A L'AQUILA: IL MECCANISMO PER CONTROLLARE APPALTI E MANODOPERA. Il meccanismo messo in piedi dal clan dei Casalesi per mettere le mani sul cantiere più grande d'Europa (L'Aquila) non era per niente sofisticato. Lo spiega, inconferenza stampa, David Mancini, sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia dell'Aquila.
"Ci troviamo - spiega Mancini - in presenza di alcuni imprenditori aquilani che nell'ambito della riscostruzione privata acquisivano quante più commesse possibili, a prescindere dalla loro capacità aziendali e organizzativa e di risorse di lavoratori. Ciò facevano in quanto si affidavano alle imprese dei Di Tella i quali reperivano manodopera esclusivamente nel territorio di Casapesenna e Casal Di principe, la portavano a L'Aquila, la alloggiavano a L'Aquila, la facevano anche assumere, quantomeno formalmente, dagli imprenditori aquilani i quali, sempre formalmente nei loro confronti, emettevano una busta paga recante un importo sindacamlemente corretto ma contemporaneamente offrivano poi una contabilità agli stessi Di Tella i quali venivano messi in condizione di gestire una contabilità separata parallela occulta che gli consentiva di tenere i rapporti con tutti i lavoratori o quasi tutti i lavoratori in modo tale che il lavoratore, dopo avere percepito l'importo effettivamente considerato nella busta paga, attraverso prelievi bancomat restituivano somme che ammontavano a circa la metà dello stipendio agli stessi Di Tella. Questo era un metodo sistematico che non avveniva, come ha detto il procurtore Roberti, attraverso la violenza ma attraverso un'intimidazione ambientale diffusa in qualche caso con qualche alzata di toni a ricordare gli obblighi condivisi in virtù della provenienza geografica e dell'abitudine ad avere rapporti di un certo tipo. Questa situazione consentiva agli imprenditori aquilani di garantirsi comunque un importo di lavoro anche se in quei cantieri non ci mettevano le mani. Somma che poteva aggirarsi sul 30% dell'importo ed il rimanente a chi i lavori effettivamente li eseguiva. Formalmente sembrava che lavorassero le imprese aquilane".
Secondo il sostituto procuratore della Dda dell’Aquila, David Mancini, che ha seguito l’inchiesta "Dirty Job", sono almeno una decina i cantieri finiti sotto la lente di ingrandimento della Procura, per un giro d’affari stimato attorno ai 10 milioni di euro.
Redazione Independent