“Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica”. Salvador Allende
Altro che favole, Silvio!
Dopo quasi 4 anni dal terremoto a L'Aquila non è stato ricostruito un bel nulla: è ancora un "cattivo esempio"
L'AQUILA CONTRO BERLUSCONI. E' vero che il 6 aprile del 2009 è successo qualcosa di terrificante: la scossa di magnitudo 6.3, alle ore 3 e 32, ha provocato 308 vittime, 1.500 feriti ed oltre dieci miliardi di danni. E' anche vero che una sistemazione, seppur provvisoria (vedi: progetto C.A.S.E.), agli oltre 60mila terremotati di una città andata compleatamente distrutta, oltre a qulle del cratere sismico, è stata data. E' vero anche che molte responsabilità sono dipese dall'inerzia della classe dirigente locale e regionale. Ma avere il coraggio di affermare, dal "solito" salotto amico, quello di "porta a Porta", diretta da un cittadino aquilano (Bruno Vespa), che «a L'Aquila abbiamo risolto tutto» francamente ci sembra una boiata. Le macerie giacciono ancora nel centro storico, circondate dalle strisce dei lavori in corso, e intere case, palazzi, sono ancora completamente distrutti. Per non parlare, poi, della drammatica situazione economica e sociale: il cuore d'Abruzzo è un luogo morto, privo di vita e vitalità. Addirittura, poche settimane fa, sul New York Times - quindi: non su Repubblica o L'Unità o sul Fatto Quotidiano - il cronista Michael Kimmelman, senza troppi giri di parole e con la "schiettezza" tipica del linguaggio anglosassone, aveva definito il capoluogo d'Abruzzo un cattivo esempio. «L'Aquila - si legge nell'articolo del quotidiano newyorkese - capoluogo abruzzese, nel centro Italia, è molto lontana da Rockaways e Staten Island, ma la sua lotta per recuperare da un terremoto può fornire un avvertimento per New York, post-uragano Sandy». Tutto risolto? Insomma, non ci pare proprio.
Marco Beef